Come perdere (e ritrovare?) una famiglia
Colloquio con Ignazio Tarantino, autore del romanzo "Sto bene è solo la fine del mondo". "Ho descritto una storia universale che volevo fosse capita da tutti, anche da chi non conosce quel culto". E per "salvarsi" dalle coercizioni della congregazione, il protagonista ha dovuto rinunciare anche a tutti i rapporti con la famiglia
me. Forse quattro o cinque persone a cui sono molto legato sapevano”.Si vergognava di questo passato?
“Pensavo che il modo migliore per cancellare quella esperienza fosse ignorare anche con me stesso il passato. Ma venti anni di vita non si sbianchettano. Li avevo dentro e in qualche modo dovevo esorcizzarli. Per questo ho cominciato a scrivere, per guardare in faccia quel lato oscuro che avevo addosso”.
Sono passati degli anni da quando ha abbandonato il culto. Nel libro si racconta quanto, con quale forza, venga inculcato il senso di diversità e di chiusura rispetto agli altri. Si sente ancora diverso in qualche modo?
“Inevitabilmente sì. È un fatto ineluttabile. Avere un passato completamente diverso dagli altri ti rende differente anche dopo. Questo nonostante all’apparenza io sia una persona come tutti gli altri. Però resta anche un’altra cosa: una grandissima apertura mentale, superiore alla media”.
Salva qualcosa dell’esperienza passata, della vita dentro ad una setta?
“Difficile dirlo. Penso che non cambierei nulla perché se oggi sono me stesso – e sono felice – è grazie proprio a quel che ho vissuto. Appena ne esci fuori hai solo una cosa in mente: vuoi fare della tua vita un capolavoro. Ti resta una marcia in più. Vuoi recuperare il tempo perduto”.
Perché alcuni riescono ad uscire dal condizionamento mentale della setta e molti altri invece restano dentro? Perché non si ribellano?
“Nel romanzo ho raccontano l’esperienza di Anna. Lei capisce che qualcosa non va, ma appena esce si ritrova sola al mondo. Si sente persa. Per anni ha frequentato solo quella comunità, dopo non riesce a trovare uno sbocco. Si entra in quella comunità, dapprima calda e accogliente, dietro alla promessa di un futuro prossimo migliore, pieno di pace, senza malattie, con la vita eterna a un passo. Una volta lì dentro, i meccanismi interni ti obbligano a restare e anche se le promesse non si realizzano e non sei più felice ci sei talmente dentro che sembra impossibile uscirne. Magari menti a te stesso, estirpi i dubbi, ma rimani per paura di perdere tutto ciò che hai: l’affetto dei tuoi cari, degli amici, la presenza di qualcuno o qualcosa che ti dica cosa fare e perché”.
Secondo lei sono regole – come quella di non poter neanche più salutare chi abbandona la fede - pensate in modo scientifico?
“È un meccanismo psicologico migliorato e affinato di volta in volta nel corso degli anni. Si erige un muro, la chiusura è totale. È un neanche tanto velato sistema di coercizione mentale”.
Ha ancora paura della fine del mondo e del giudizio di Dio?
“No, per niente. Ho fede nella scienza. Sono ateo o meglio, neanche mi pongo il problema”.
Il “mondo”, cioè tutto quel che è fuori dalla comunità, era così cattivo come lo descrivevano da dentro? Come lo vive oggi?
“No, non lo è. Il mondo è fatto di cose belle e di cose brutte. Sta a te scegliere. Ho trovato persone che mi vogliono bene per quello che sono, senza chiedere nulla in cambio. Persone eccezionali”.
Adesso che rapporti ha con sua madre?
“Con mia madre le cose sono migliorate, ci sentiamo, ma guai a parlare di religione. Ha provato a troncare i rapporti con me, ma alla fine il forte istinto materno riesce a prevalere sulle regole della comunità”.
Ha letto il libro?
“Gliel’ho spedito il giorno dell’uscita, a fatto compiuto. Prima di leggerlo ha chiesto il permesso agli “anziani”. Si è complimentata per la scrittura e per il fatto che stia andando bene. Ma da appartenente a quel gruppo religioso no, ci è rimasta male. È come se si sdoppiasse”.
Dal romanzo si capisce che le ferite restano aperte. Si riesce a guarire del tutto? È solo una questione di tempo?
“Scrivere, nel mio caso, è servito a me per fare i conti con il passato. Aiuta ritrovarsi con chi ha vissuto la tua stessa esperienza. Poi sai, è banale dirlo, la ferita si chiude ma la cicatrice resta”.
Un’ultima cosa. Il libro è anche una denuncia sociale. L’ostracismo praticato dalle sette verso chi prende un’altra strada – i testimoni di Geova addirittura "consigliano" ai genitori di non scambiare mail con i figli usciti dalla religione - è secondo lei compatibile con i diritti della persona garantiti dalla Costituzione?
“Qui parliamo di gruppi religiosi che intervengono in maniera scrupolosa e attenta, eppure assai raffinata, contro le libertà individuali. Eppure la legge riconosce e tutela questi stessi culti. Forse occorrerebbero maggiori approfondimenti anche in senso legislativo”.