
La polemica divampa ormai furiosa da quasi venti giorni su riviste specializzate, sul web e persino sui giornali: i neuroni specchio - scoperta che ormai connota la città di Parma nel mondo quasi quanto il parmigiano e il prosciutto crudo - esistono o non esistono nell’uomo?
A gettare scompiglio, come i più attenti già sapranno, è un articolo che il neuroscienziato italo-americano Alfonso Caramazza, ora direttore, oltre che del Laboratorio di scienze cognitive di Harvard, anche del Centro mente e cervello di Rovereto, ha pubblicato sulla rivista PNAS.
Un po’ di storia
Alla fine degli anni ‘80 il gruppo di neurofisiologi dell’Università di Parma guidato da Giacomo Rizzolatti identifica casualmente nella scimmia una popolazione di neuroni che si attiva sia quando l’animale compie un atto motorio finalizzato sia quando lo osserva in un’altra scimmia e persino nell’uomo. Attraverso una serie di studi successivi, viene elaborata la teoria dei neuroni specchio, secondo la quale esiste nel nostro cervello una popolazione neuronale in grado di attivarsi in presenza di atti motori indipendentemente dalla modalità con cui questi sono compiuti (quindi anche attraverso l’osservazione e persino attraverso l’ascolto di un suono, come avviene, per esempio, quando si sente il rumore di un guscio di noce che si rompe e si immagina l’azione sottostante). Per farla breve, i neuroni specchio sarebbero alla base della capacità di alcune specie superiori di capire le intenzioni altrui. In pratica sarebbe il substrato fisiologico dell’empatia e, di concerto, anche della cosiddetta teoria della mente, la capacità di pensare all’altro come essere pensante. In sostanza, la radice della coesione sociale.
Alcuni neuroscienziati del gruppo di Parma si sono spinti addirittura a interpretare, alla luce dei neuroni specchio, fenomeni come la produzione artistica (Vittorio Gallese) o, per l’appunto, la coesione sociale e la politica (Marco Iacoboni). I neuroni specchio interessano anche i filosofi: per esempio, Laura Boella, che insegna filosofia morale all’Università Statale di Milano, li ritiene alla base del meccanismo di riconoscimento intersoggettivo ipotizzata dal fenomenologo francese Merlau-Ponty, nonché da gran parte della filosofia contemporanea.
La presenza dei neuroni specchio è stata dimostrata con registrazione diretta tramite elettrodi intracranici solo nelle scimmie. Le prove a sostegno della loro esistenza nell’uomo sono numerose ma utilizzano sistemi di imaging come la PET o la risonanza magnetica funzionale, perché le tecniche invasive, pur possibili, sono ovviamente complesse ed eticamente controverse. Inoltre, per quanto finora si è capito, il sistema specchio nell’uomo avrebbe una struttura diversa che nell’animale e forse non sostenuta esclusivamente da popolazioni neuronali “specchio” ma anche da altre “stazioni”, come il solco temporale superiore, nel quale i neuroni specchio non sono presenti a detta di tutti gli esperti.
Lo studio di PNAS
Usando una tecnica di risonanza magnetica che permette di misurare l’adattamento (cioè la diminuzione fisiologica dell’attività dei neuroni che vengono utilizzati ripetutamente per lo stesso scopo) di certe aree cerebrali (fMRI adaptation), Caramazza ha elaborato un esperimento, condotto su 12 soggetti, che ha misurato l’adattamento di determinate zone del cervello di fronte ad atti motori ripetuti sia attivamente sia con la sola osservazione. In teoria, sostiene il neuroscienziato di origini siciliane, se i neuroni specchio esistono davvero dovrebbero adattarsi alla ripetizione dello stimolo transmodale (cioè agito e osservato), il che, nel suo esperimento, non accade.
Sempre secondo Caramazza, che sostiene con ciò di aver dimostrato l’inesistenza dei neuroni specchio nell’uomo, questi dati confermano quelli pubblicati da Ilan Dinstein della New York University nel 2007.
I termini della polemica
A favore di Rizzolatti e del gruppo di Parma si sono schierati immediatamente personaggi del calibro di Piergiorgio Strata, direttore dell’EBRI (l’istituto di neuroscienze voluto da Rita Levi Montalcini) che sottolinea la scarsa affidabilità della tecnica utilizzata e il numero ridotto (12) di soggetti esaminati. Lo stesso Vittorio Gallese ha ricordato che l’anno scorso, con la stessa tecnica, Nancy Kanwisher, che lavora all’MIT di Boston, era giunta a risultati diametralmente opposti. Anche dal punto di vista dell’evoluzione, dicono molti esperti, sarebbe assurdo pensare a un sistema così utile e “parsimonioso” che si mantiene fino ai primati ma viene perso proprio dall’uomo.
A confronto ci sono due visioni del funzionamento dei processi cognitivi superiori. Per semplificare un po’ con l’accetta (altrimenti qui si fa notte!), secondo il modello sostenuto dalla scoperta dei neuroni specchio, il sistema motorio non sarebbe solo deputato alla semplice esecuzione meccanica di gesti, ma sarebbe in grado di attribuire a questi stessi gesti significati ed emozioni. Se i neuroni specchio non fossero presenti nell’uomo, invece, si tornerebbe a una visione definita “riduzionista”: un sistema motorio deputato all’azione e un sistema cognitivo superiore che “associa” all’azione significati sulla base di un proprio funzionamento autonomo. La teoria della mente tornerebbe ad essere quello che era in origine (un modello cognitivo separato dalla funzione motoria) mentre con i neuroni specchio è “embedded” all’azione (o alla sua osservazione negli altri).
La polemica ha assunto anche toni decisamente sgradevoli: Caramazza difende il proprio operato e sostiene che il mondo scientifico italiano attua verso la teoria dei neuroni specchio una sorta di “protezionismo”, mentre il gruppo di Parma lo ha accusato nell’ordine di aver pubblicato su PNAS un lavoro mediocre perché aiutato da referees amici (Iacoboni) o di aver montato un caso per far pubblicità al neonato Cimec (Gallese). Insomma, tira una brutta aria nelle neuroscienze che trascende anche l’importanza della posta in gioco: Copernico contro Tolomeo…
PS: Per chi volesse saperne di più, vi segnalo che nel numero di luglio di Le Scienze ci sarà un articolo di quattro pagine, a firma di Andrea Lavazza, con le opinioni di tutti i ricercatori in causa e una sintesi della questione.
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